Li abbiamo contati.
Fin qui sono stati almeno 7 i dietrofront del Governo su altrettanti provvedimenti palesemente sbagliati sulle Tasse.
Il numero, però, potrebbe essere destinato a salire ulteriormente, visto che i provvedimenti dovranno passare al vaglio del Parlamento nei prossimi giorni. In ordine di tempo, l’Esecutivo giallo-rosso ha cambiato idea su: merendine, partite Iva, sanzioni ai commercianti, affitti, imposta sulla casa, spese sanitarie e, da ultimo, auto aziendali.
Il risultato di tutte queste marce indietro è una gran confusione e un’incertezza
sui contribuenti che si tradurrà in minori investimenti e consumi.
È evidente, poi, l’emersione di una debolezza politica del Governo sia sul fronte del consenso, che percepisce già come risicato, sia dal lato della strategia: manca un’idea di fondo, un’anima, una prospettiva di lungo periodo. Non c’è nessun dialogo serio con i corpi sociali e le associazioni di categoria. Siamo davanti a dei follower più che leader politici.
TASSE PER TUTTI
Ma vediamo nel dettaglio le 7 marce indietro del Governo:
<h2> Merendine <h2>
Partiamo dal primo provvedimento: il Ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, ha un’idea “brillante”, tassare le merendine per finanziare gli aumenti degli stipendi degli insegnanti. La misura non entrerà mai in bilancio, rimane però un’imposta sulle bevande zuccherate che colpirà: succhi di frutta, coca cola, chinotto, birre analcoliche, acque aromatizzate, birra analcolica e altre simili. Il prelievo dovrebbe essere di 10 euro per ettolitro e di 25 centesimi al kg per il dolcificante. A fronte di queste tasse gli stipendi degli insegnanti non cresceranno ma la spesa pubblica improduttiva sì.
<h2> Partite Iva <h2>
E’ una delle retromarce più clamorose. Secondo il disegno del Governo le partite Iva sotto i 65 mila euro (quelle medie-piccole) dovrebbero pagare più tasse e avere maggiori complicazioni. Nel documento programmatico di bilancio si prevede il passaggio dal Regime di Calcolo Forfettario dei Costi (una percentuale di deduzione da applicare ai ricavi) a quello Analitico, indicando e registrando ogni singolo costo in dichiarazione. Professionisti e artigiani dovrebbero poi dotarsi di un conto corrente dedicato alla professione. E non è finita qui: alcune partite Iva dovrebbero essere escluse dal regime di imposta sostitutiva al 15% e finire nell’irpef ordinaria (fino al 40% di aliquota marginale) perché avrebbero fatto qualcosa di molto “grave”: assumere dipendenti, investire nella loro attività oppure aprire attività autonome da dipendenti o pensionati per arrotondare il loro reddito.
Il Governo, poi, ci ripensa, lasciando inalterato il Regime Forfettario ma escludendo le partite iva che pagano stipendi ai dipendenti sopra i 20 mila euro complessivi e che hanno già redditi da lavoro dipendente o da pensione sopra 30 mila euro. Addio definitivo, invece, al conto corrente dedicato esclusivamente alla professione.
<h2> 3. Affitti a canone concordato </h2>
Nella scure del Governo finiscono pure gli affitti. I contratti che si ispirano a quelli modello, formulati dalle associazioni dei proprietari e dagli inquilini, invece di essere tassati al 10% dovrebbero scontare un’imposta sostitutiva del 12,5% del canone (di fatto pari al più 25% di tasse). L’Esecutivo però ci ripensa, visto che si tratta proprio degli strumenti che agevolano l’accesso alla casa e alle categorie spesso più deboli.
<h2> 4. Sanzioni ai commercianti e professionisti sui Pos </h2>
Se un commerciante rifiuta il pagamento al pos sanzione di 30 euro, più il 4% del valore della transazione. Qui siamo ad una marcia indietro non nel merito ma sul tempo. Partiamo dalla sostanza. Si tratta di una tassa su commercianti e professionisti da 17 a 57 euro l’anno, che evidentemente devono dotarsi obbligatoriamente di un pos (lo strumento per pagare con bancomat e carta di credito). A questa cifra fissa vanno poi aggiunti: i costi di installazione una tantum, 150 euro in media, le commissioni di transazione fisse, solitamente 10 centesimi (su una transazione di 10 euro rappresentano l’1%), più quelle variabili che cambiano da circuito a circuito (da 0,5% al 2,5%).
Un’ulteriore mazzata non concordata con le categorie, in un contesto di sistema che già spreme le attività produttive. Il Governo prende senza dare nulla in cambio, nessun taglio di tasse, ma solo finanziando spesa pubblica improduttiva.
Il Governo dà l’ok ma solo a partire dal 1 luglio 2020. Per quale motivo? Secondo l’Esecutivo, nei prossimi 6 mesi le banche ridurranno le commissioni. Sarà vero? Vedremo.
<h2> 5. Spese per la salute </h2>
Non c’è pace nemmeno per chi ha problemi di salute o vuole prendersi cura di se stesso. Se non paghi con bancomat o carta di credito non puoi più detrarre circa 1/5 della spesa per farmaci o visite (il 19%) dal reddito, quindi di fatto maggiori tasse. Le persone più a rischio in questo caso sono quelle anziane, meno propense all’uso di mezzi elettronici di pagamento.
Palazzo Chigi, il Mef e la maggioranza tornano però indietro. Su tutte le altre spese detraibili si dovrà ricorrere a pagamenti elettronici ma quelle sanitarie vengono escluse.
<h2> 6. Tassa sulla casa </h2>
Il Documento Programmatico di bilancio fa lievitare l’imposta di registro per l’acquisto della prima casa da 50 a 150 euro. I notai evidenziano un ginepraio di norme e l’ennesimo carico fiscale. Alla fine, la tassa sparisce dai testi finali.
<h2> 7. Auto Aziendali </h2>
Se il datore di lavoro concede l’uso della macchina aziendale, questo benefit in natura, e non in denaro, si deve trasformare tutto in un reddito, quindi in base imponibile e quindi in nuove tasse. Fin qui il benefit veniva tassato al 30%. La norma vale per tutti, tranne per i rappresentanti e gli agenti di commercio. Questo era quanto scritto nella bozza della manovra. Per fare un esempio un dipendente con 40 mila euro di reddito ed una Punto, avrebbe dovuto pagare 2.000 euro di tasse in più all’anno. Coinvolti 2 milioni di dipendenti, il 40% delle nuove immatricolazioni.
Anche su questo argomento, poi, l’ennesima retromarcia del Governo. I benefici (Fringe Benefit) concorreranno al reddito per il 30% del loro valore ma solo se auto ibride ed elettriche, 60% per tutti gli altri modelli, esclusi i veicoli commerciali. Svanisce l’idea di farli concorrere al 100% del loro valore. La mazzata però rimane, perché il Governo, di fatto, impone di passare all’elettrico o ibrido. Alla faccia del principio di sovranità del consumatore.
(Fonte Renato Brunetta)